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sabato 3 settembre 2011

Sedicesimo giorno

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No, no, non ci sono né mosche, né mosconi, ci sono solo io che dopo un kiwi e mezza pera per pranzo, mi faccio una bella pennichella.
Non riesco a tenere gli occhi aperti oggi, sono distrutta. Shivani mi ha messo KO senza pre-avvertirmi, mi ha suggerito solo caldamente di restare in albergo senza strapazzarmi, almeno per oggi. Chissà quale bizzarro intruglio mi avrà introdotto!
Stamattina c’è stata finalmente l’occasione di domandarle cosa “canta” prima di sentire il polso. Ha Sorriso. Mi ha spiegato che è un mantra, le serve per entrare in un profondo stato di concentrazione, necessario per avere la condizione mentale ideale per “ascoltare” le vibrazioni provenienti dal mio corpo. Lei col mantra ringrazia Dio di poter fare da tramite tra Lui e me e in questo modo poter essere utile, perché non è lei che mi cura, lei mi mette in condizione di poter ricevere l’aiuto più alto e il mio corpo reagirà di conseguenza, guarendo.
Ma è bellissimo, in India non è il medico l’onnipotente!
Davvero non smette di sorprendermi questo diverso approccio alla vita, forse in India riuscirei anch’io a credere in Dio.
Comunque so che quello che mi dice è vero. Ho sperimentato personalmente, facendo yoga ormai da tre anni, che ad esempio la vibrazione dell’OM è incredibilmente piacevole, pacifica i sensi, rilassa e ti mette nella condizione di iniziare gli esercizi con il dovuto stato mentale, ovvero dimenticando tutto ciò che ti affligge, ti circonda, ti preme, TUTTO. Alle prime lezioni di yoga, non pronunciavo l’OM insieme con gli altri, mi sembrava di “scimmiottare” qualche cosa di cui non capivo il senso, allora, semplicemente, ascoltavo in silenzio. Poi un giorno, chissà forse presa da quale entusiasmo ho emesso anch’io il magico suono per tre volte e - tripudio dei miei sensi - ho capito quanto era liberatorio.
Lo stesso è stato per un mantra che segue l’OM sempre all’inizio della lezione. E’ una canzone in Indi, anche parecchio lunga di cui non capivo né le parole, né il senso del ringraziamento in sé. “Che palle”, pensavo fra me e me nel momento della canzone. Mi piaceva fare yoga, ma tutte queste pratiche mistiche, esoteriche non facevano al caso mio! Sempre in silenzio ho passato più del solo primo anno ad ascoltare. Nel frattempo queste parole, senza che lo volessi sono entrate in me, e così mi ritrovavo magari a canticchiarle nel traffico. Poi, un giorno una strofa, un altro giorno l’altra, sussurrando per non sbagliare, ho cominciato a sentirne il gusto. Ed ecco che una delle prime mattine, qui a Delhi, nella stanza d’attesa del Dott. Mishra e della Dott.ssa Shivani, mi son messa a canticchiarla sottovoce per riportarne alla mente il sapore, senza rendermi conto che il Dottore – gran orecchio fino – riconosceva perfettamente la sua lingua. Nascosto, dietro la tenda ondulante, all’aria delle pale del ventilatore, si era fermato in ascolto. Mi dava le spalle, lo intravedevo. Ho chiuso gli occhi per non distrarmi e non perdere il filo, e l’ho conclusa, nonostante un leggero senso di imbarazzo. Il dottore, che sapeva di essere stato visto, mi si è seduto di fronte e ha cominciato a cantare la stessa canzone, con un altro ritmo. E’ stato un grande momento di condivisione e di vicinanza di spirito. Bello, bello, bello.
A quell’epoca, poi, il dottore era per me quasi uno sconosciuto, e benché lui dica di conoscermi molto bene, lui per me continua ancora oggi ad essere un’incognita e quando queste cose accadono tra estranei acquistano ancora più forza.

Le finestre della mia camera ogni pomeriggio sono spalancate. Mi piace sentire il calore entrare ed essere affettato dalle pale del ventilatore sopra la mia testa. Il rumore della città mi ha sempre dato un senso di tranquillità. Mi piace sentire che la vita si svolge lì fuori, proprio sotto di me. Mi piace ascoltare il campanello delle biciclette, i clacson delle auto che qui suonano in continuazione, anche quando non ce n’è bisogno. Mi piace riconoscere in lontananza una piccozza, un aereo che sorvola l’hotel. Mi sento parte di un mondo di cui sono al contempo spettatrice. Non mi sentirò mai sola in città. Sono fortunata che in questo albergo la finestra che da sulla strada si possa aprire. In realtà si può aprire tanto perché è rotta, probabilmente il fermo che avrebbe permesso il solo cambio d’aria è andato a farsi benedire ed io con un piccolo espediente riesco a tenerla aperta. Uso il cucchiaino della colazione ben posizionato tra la molla e il meccanismo di apertura e voilà, posso lasciare entrare il mondo.

E’ sera, i cani randagi fanno per davvero una gran cagnara, mentre gli altri rumori si sono placati. Accendo l’aria condizionata per evitare ai moschini una brutta fine. Qui gli animali sono sacri…
Gli ululati sono cessati all’improvviso e lampi a raffica, senza tuoni sembrano un neon che non si accende. Un altro rumore cresce e mi spinge ad alzarmi per andare alla finestra a vedere. Il monsone è arrivato! Il vento turbina, gli alberi si piegano in tutte le direzioni, l’acqua sale fino ai marciapiedi. Non c’è più anima viva in giro.
Le ombre delle foglie disegnano effetti mostruosi, se non fossi protetta da questo vetro, ne avrei paura. Ora se ne andata anche la luce. Dalla fessura del vetro entrano sprizzi d’acqua che mi sfiorano i piedi nudi e penso a quanto sia bello e potente lo spettacolo della natura.


 

3 commenti:

  1. Ciao sto facendo leggere a Patty il tuo interessante blog..spero proceda tutto bene intanto..Buon Compleanno!!! Ciao a presto.
    Guido

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  2. questo è finora il post più bello che hai scritto...
    p.

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  3. Grazie a tutti di cuore, il feedback che ricevo da tutti voi mi da la l'energia per continuare a scrivere... tutte queste... "sciocchezze" tanto reali

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